Antonio Baglivo alla Biblioteca Nazionale di Napoli

articolo di Gerardo Pedicini

Da alcuni anni la Biblioteca Nazionale di Napoli, oltre a svolgere il consueto ruolo di consultazione e documentazione bibliografica, per volere del direttore Mauro Giancaspro, ha destinato alcune sale, e precisamente lo spazio della sala Leopardi che si trova a pian terreno, lungo l’asse occidentale di Palazzo Reale, subito dopo l’entrata della Biblioteca, ad attività espositive. Impegno non da poco e in verità di grande importanza in una città, come la nostra, carente di spazi pubblici adeguati alla ricerca in atto. Nel corso della stagione 2009-2010 a esposizioni come I giochi di Nani di Alessandro Marcucci Pinoli, costituiti da una serie di costruzioni geometriche che sembrano fuoriuscire “dal terreno per attraversare lo spazio in ogni direzione” (Armando Ginesi), o come Il giardino del sapere di Clara Rezzuti con gli incanti di una installazione che addensa in uno i tanti rami del sapere,  recentemente si è inaugurata la mostra La forma del libro di Antonio Baglivo. Il titolo esplicita con chiarezza l’intera opera dell’artista celentano. Tre le principali direttrici: libri d’artista, pagine di sapienti mappe stellari e libri-oggetto inscatolati in eleganti teche di legno che, in varie forme, rimandano all’idea del libro con “sognanti e preziose contaminazioni di scrittura, tratto grafico, rilievo e tratto” come scrive Mauro Giancaspro in catalogo. Un corpus insomma di un fascino discreto e sottile che rappresenta in nuce il modus  operandi dell’artista e la cifra costitutiva della sua visione geometrica. Che rimanda, e in qualche modo duplica, l’impatto e la corrosione del tempo sul corpo della natura. Da qui la costruzione di fantasiose mappe astrali, gli intrichi delle linee e degli scavi che simulano venature terrestri; da qui la fantasmatica visione di immagini sospese nella dilatazione spaziale del foglio, la consistenza materica di raffinate forme geometriche giocate nell’ambivalenza dei colori (dal violaceo nero dell’ardesia all’oro, alla spessa grammatura del Bristol nero dei notturni tursitani, omaggio al poeta Albino Pierro, ecc.); da qui, l’eleganza materica della carta paglia su cui si accampano, grazie all’incisione calcografica a secco, vuoti occhi, simili a ex-voto, che testimoniano un tempo perduto nella memoria; da qui ancora grumi di piombo fuso intorno a lettere alfabetiche prelevate da dismesse cassette di caratteri tipografici e offerte come cibo a futura memoria di un felice tempo della scrittura spazzato via dalla nuova tecnologia tipografica o, infine, tessiture di stoffa che, sapientemente divise in due fogli a mo’ di libro, cristallizzano la visione di perturbanti oggetti-crisalidi come se fossero calchi archeologici. È insomma un crescendo di rimandi che Baglivo, a partire dalle fantasie calligrafiche delle pagine miniate medioevali, dirama in mille forme per accogliere in folio la sapiente visione dell’oggetto libro e la consistenza dei materiali che si dispiegano in una mappa intricata di segni, di tracce e di percorsi visivi di infinita suggestione visiva. In aggiunta a queste opere i libri-oggetto impaginati e sotto vetro. La parola poetica di Maria Luisa Spaziani, Elio Filippo Accrocca, Antonio Porta, Mario Lunetta, Idolina Landolfi, Bianca Maria Frabotta, Rino Mele, Francesco D’Episcopo, del sottoscritto e di tanti altri ancora diviene, per l’artista, un’esca per dispiegare il proprio armamentario visivo con una valenza di immagini allusive e simboliche che richiamano, nella condensazione di un semplice segno, la polifonia dei suoni della parola. Basta un colore, un vortice, un rilievo, l’ombra di una figura a richiamare e ad ampliare il significato del testo come avviene osservando una antica tavoletta orientale.  Ad esempio, In morte di quattro amici di Maria Luisa Spaziani il pathos della poesia è dato dalle linee verticali che come pioggia stillante dal cielo si accampano in rilievo sul foglio azzurro della cartiera Amatruda di Amalfi.. Per la poesia di Antonio Porta, inserita in Albe, basta la punteggiatura picchiettata di un arco a farci comprendere la sofferenza del popolo ebraico. Insomma non c’è tra parola poetica e immagine nessuna vocazione illustrativa; al contrario una attenta sottolineatura che nel contesto visivo ampia il significato scrittorio collocandolo in uno scenario di intensa partecipazione emotiva. Sono dunque non semplici libri d’artista ma vere e proprie opere da collezione: con pochi tratti l’artista riesce a creare un intenso rapporto tra scrittura e segno, un registro autonomo costituito da pochi segni geometrici che si articolano con i fonemi poetici. Insomma, le edizioni Ibridilibri di Baglivo come le opere oggetto se, da un lato ripercorrono la storia del libro, dall’altro, richiamandosi a quanto operato dall’avanguardia storica, costituiscono un corpo a sé stante nell’editoria d’arte del nostro secolo. Sarebbe un peccato disperderne il valore. Bene quindi ha fatto la Biblioteca Nazionale ad ospitarle, ma l’operazione non dovrebbe esaurirsi nella semplice esposizione. Non a caso Mauro Giancaspro in catalogo ricorda quanto è accaduto alla Biblioteca Herzog August  di Wolfenbüttel dove, negli anni sessanta, “il direttore Erhart Kästner compì un gesto assai coraggioso: mise in vendita i doppi esemplari di libri antichi e pregiati, di cui erano pieni i depositi, e acquistò una cospicua serie di libri d’artista, che andarono a far parte di una sezione speciale oggi famosissima e frequentatissima”. Una siffatta operazione sarebbe auspicabile anche da noi: darebbe un ulteriore prestigio alla nostra città e sarebbe una iniziativa altamente meritoria per la direzione della Biblioteca Nazionale.